Illusione

Le illusioni fanno parte della «realtà incontrata» (Metzger, 1941): dati di esperienza impermeabili alle inferenze sugli osservabili, che rimangono «fenomenicamente oggettive» anche per l'osservatore che le sa «geneticamente soggettive» (Köhler, 1929). L'interesse scientifico per le illusioni dipende da una concezione della mente quale generatore di rappresentazioni, modelli della realtà funzionali al comportamento ben adattato. Mentre l'osservatore ideale possiede soltanto rappresentazioni veridiche, l'osservatore reale possiede rappresentazioni limitate e talora fallaci. Oltre a fornirci una chiave d'accesso ai processi mentali, le violazioni della veridicità ci aiutano ad abbandonare il «realismo ingenuo» a favore del «realismo critico» e a stabilire il confine tra realtà fisica e realtà fenomenica (Koffka, 1935). Secondo il «realismo diretto» (Gibson, 1979), un'eccessiva curiosità per le illusioni espone al rischio di una loro sopravvalutazione teorica, peraltro evitabile se la mente viene concepita come insieme di sottosistemi paralleli nel quale, per esempio, un'illusione nel sottosistema della percezione cosciente coesiste con una rappresentazione veridica nel sottosistema che controlla l'azione.

Dominio vario ed eterogeneo, quello delle illusioni. Il primato storico e concettuale va alle «illusioni percettive». L'illusione della luna - il suo ingrandimento apparente all'orizzonte - catturò l'attenzione di Aristotele, al cui nome è legata pure un'illusione tattile, il sorprendente sdoppiamento di un piccolo oggetto toccato con due dita incrociate della stessa mano. L'eterogeneità delle illusioni percettive ha sollecitato vari tentativi di classificazione, utili anche a inquadrare altri scostamenti dal vero: nel riconoscimento, nel ragionamento, nella memoria. Nel riconoscimento di lettere presentate per pochi decimi di secondo si possono produrre «congiunzioni illusorie» di caratteristiche fisicamente disgiunte: il colore di una lettera migra da una posizione all'altra fondendosi con la forma di una lettera diversa. Nel ragionamento - in parti colare nei giudizi probabilistici - frequenti sono gli errori definibili come «illusioni cognitive». Particolarmente robusta è la convinzione che imprigiona il giocatore coinvolto nel cosiddetto «problema di Monty Hall»: «Sei in Tv e stai partecipando a un gioco in cui devi scegliere fra tre porte. Una cela una fuoriserie e le altre due una capra. Poniamo tu abbia scelto la porta rossa. Il presentatore, che sa cosa c'è dietro a ogni porta, apre un'altra porta rivelando una capra e poi ti chiede: "Conferma la sua prima scelta o preferisce cambiare ?" In generale, che cosa è più vantaggioso: confermare o cambiare ?» Molte persone ritengono, erroneamente, che conferma e cambiamento si equivalgano: la probabilità di vincere o non vincere la fuoriserie sembra la stessa. L'illusione si rivela molto resistente agli argomenti razionali che dimostrano, invece, come la probabilità di vincere la fuoriserie sia doppia se si cambia. Altrettanto minacciose per l'autostima sono le «illusioni di memoria». In laboratorio un buon effetto si ottiene nel compito drm, acronimo dei suoi inventori (J. Deese, H. Roediger e K. Mc-Dermott). Il soggetto deve memorizzare una lista di parole, tutte fortemente associate a una parola assente (per esempio, la lista include collina, valle, cima, vetta, ma non montagna), e poi, nel test di riconoscimento, dire se una certa parola presentata era inclusa o no nella lista studiata. In tali condizioni i falsi riconoscimenti di una parola fortemente associata a quelle presentate, ma di fatto assente, sono incredibilmente frequenti. Non solo: le persone ricordano - in perfetta buona fede, dicono le ricerche sperimentali - specifici dettagli della presentazione di fatto mai avvenuta, come la voce di chi avrebbe letto la parola. Nella fenomenologia delle illusioni i falsi ricordi sono casi limite, autentiche creazioni soggettivamente indistinguibili dai ricordi veridici. Per comprendere l'analogia con la percezione è utile ricorrere a una classificazione. Per R. Gregory (1998) le illusioni percettive sono classificabili in base a due criteri ortogonali: «tipo» e «origine». I quattro tipi - ambiguità, distorsione, paradosso, finzione - corrisponderebbero ai modi in cui un'espressione verbale può scostarsi dal modello di un'asserzione univoca, semanticamente appropriata, sintatticamente corretta, veridica (come «piove», se cade acqua). L'isomorfismo percezione-linguaggio vale se la percezione è (non solo somiglia a) una rappresentazione; cioè se la scena percepita è una descrizione nel linguaggio sensoriale (fatto di elementi visivi, uditivi, tattili) diversa da una descrizione nel linguaggio verbale, ma ad essa accomunabile in quanto raffigurazione più o meno simbolica di entità, relazioni e azioni reali. A rigore, equivalenti alle frasi sono non le percezioni ma le immagini: dipinti o altri artefatti comunicativi, che per loro natura possono essere referenzialmente corretti o scorretti. Ma anche il parallelismo percezioni-frasi è giustificato: molte teorie trattano la percezione come una rappresentazione dotata di una struttura sintattica.

L'« ambiguità» può affliggere sia la percezione sia il linguaggio. Immagini grafiche percepibili in due modi alternativi (la papera-coniglio discussa anche da L. Wittgenstein) sono strutturalmente simili a frasi compatibili con due interpretazioni («La vecchia porta la sbarra»). Ma in che senso le ambiguità sono illusioni? In effetti, il cambiamento di interpretazione di uno stesso oggetto svela che tutta l'esperienza ha una componente illusoria. Curiosamente, nessuno considera illusorie una normale raffigurazione di un coniglio o la frase «La vecchia porta la borsa», che pure sono meri surrogati dei loro referenti (un effettivo coniglio, un'effettiva nonnina affaticata). Immagini e frasi ben formate vengono percepite come se il significato esistesse fuori di noi, come se fosse ad esse incollato. Gli artefatti plurivoci, compatibili con più di una decodifica, rendono manifesta l'illusione di oggettività presente in tutta la comunicazione: scuotono l'osservatore e lo riportano bruscamente alla realtà. Sotto gli occhi e fuori dalle orecchie non c'è altro che un insieme di segni, talvolta capaci di evocare più di un significato, in palese contraddizione con il principio spontaneamente accettato dal realismo ingenuo: un oggetto per ogni immagine, un evento per ogni frase. Formalmente, tale credenza nasconde la fallacia della conversa: mentre è vero che, in un dato punto di vista, a ogni oggetto distale corrisponde una sola immagine, l'inverso non vale, essendo la proiezione ottica una corrispondenza di tipo distruttivo. Ma il comune osservatore lo ignora e tratta le ambiguità come violazioni della corrispondenza tra realtà e rappresentazione. I fenomeni visivi classificati come «distorsioni» appartengono a buon diritto al dominio delle illusioni. Nell'illusione di Muller-Lyer - paradigma delle illusioni osservabili in una semplice configurazione grafica -l'aggiunta di pochi tratti, punte o code di frecce stilizzate produce l'ineguaglianza fenomenica di due segmenti fisicamente eguali. Nel linguaggio retorico sono frequenti le distorsioni prodotte da qualificatori irrilevanti, come in «Grande! Si è aggiudicato la fantastica somma di 2 euro e 95 centesimi». La distorsione può riguardare una qualunque proprietà dell'oggetto, che assume un valore diverso da quello accertabile in una condizione di controllo. Autentici «paradossi» percettivi sono gli oggetti impossibili come il «forcone del diavolo». Si tratta di immagini bidimensionali percepite in modo internamente contraddittorio: nonostante l'osservazione analitica riveli l'incompatibilità con una struttura tridimensionale coerente, a livello globale la tridimensionalità apparente rimane immutata. Il carattere illusorio della spazialità tridimensionale - già sorprendente nella comune percezione pittorica - diviene ancora più sorprendente quando due legittime interpretazioni locali risultano incoerenti. Il corrispettivo frasale di un oggetto impossibile è «La vedetta avvistò la costa un occhio della testa», frase sintatticamente scorretta nella quale il costituente «costa» (corrispondente ai sei tratti paralleli del forcone) assume significati e funzioni grammaticali eterogenee: a sinistra nome con funzione di complemento oggetto insieme con «La vedetta avvistò la», a destra verbo con funzione di predicato insieme con «un occhio della testa». L'incoerenza interna di una struttura complessa non è la sola forma di paradosso percettivo; altrettanto interessante è la coesistenza di attributi semplici ma contraddittori. Negli effetti consecutivi di movimento come l'illusione della cascata, si osserva una curiosa dissociazione tra la sensazione di movimento attribuita all'oggetto come proprietà fenomenicamente assoluta, e la visibile assenza di moto rispetto allo schema di riferimento, moto relativo che normalmente accompagna la percezione di un oggetto in movimento reale. Qualcosa di simile accade in un ossimoro come «ghiaccio bollente», dove la forma linguistica costringe gli opposti a convivere. Nelle «finzioni», immagini e frasi si mostrano egualmente capaci di evocare l'assente; cioè di produrre la presenza illusoria di oggetti o attributi non sorretti dall'evidenza esterna. Tali violazioni della veridicità sono così sorprendenti da suscitare dubbi sull'adeguatezza dei sistemi percettivi. Si prenda il caso del triangolo illusorio di G. Kanizsa (1980). In assenza di una completa specificazione locale dei contorni, compare un triangolo la cui evidenza fenomenica è paragonabile a quella di un triangolo delimitato da bordi reali, ovunque definiti da un effettivo dislivello della stimolazione. La propriocezione offre un caso ancora più drammatico, quello dell'arto fantasma nel quale sono illusoriamente localizzate sensazioni che in esso non possono più trovare origine.

Molte definizioni generiche di illusione percettiva - come «rappresentazione su base sensoriale in disaccordo con la realtà» - sono neutrali rispetto alle origini della discrepanza tra realtà fisica e realtà fenomenica. Tuttavia, è chiaro che un prodigio dipendente da cause esclusivamente fisiche (un miraggio spiegato dalla rifrazione) è cosa ben diversa da un fenomeno come l'illusione della T capovolta, in cui un'asta verticale appare più lunga di un'asta orizzontale, a parità di lunghezza geometrica. Le origini considerate da Gregory sono quattro: cause fisiche, meccanismi fisiologici (relativi all'elaborazione bottom-up, dal basso), conoscen ze di ordine superiore (relative all'elaborazione top-down, dall'alto), regole collaterali (né bottom-up né top-down). Sulla medesima linea J. Ninio (1998) si limita a tre livelli, accorpando gli ultimi due in un unico livello cognitivo. Va comunque osservato che la distinzione fondamentale, nella teoria causale della percezione, è quella tra cause esterne e cause interne all'osservatore. Ogni ulteriore classificazione delle cause interne dipende da specifiche assunzioni sul rapporto tra contenuti mentali e corrispettivi neurofisiologici, non sempre esplicitate adeguatamente, e dallo stato delle conoscenze sui meccanismi neurofisiologici. Va notato che la classificazione in base all'origine è tendenzialmente genotipica, mentre quella in base al tipo è fenotipica. Per esempio, si consideri il modo in cui Gregory tratta gli effetti consecutivi di movimento e le immagini consecutive cromatiche: i primi sono classificati come paradossi e le seconde come finzioni, ma entrambi vengono attribuiti a cause fisiologiche. Per la teoria, il punto cruciale è la somiglianza strutturale del meccanismo causale. Al di là della differenza qualitativa tra i due attributi, movimento e colore, l'intensità della percezione viene modellata come rapporto tra le attivazioni di più canali (popolazioni di rilevatori) specializzati per valori diversi dell'attributo ed esposti all'affaticamento selettivo, cioè alla momentanea perdita di sensibilità conseguente all'esposizione prolungata a stimoli che contengano l'attributo per il quale il canale è specializzato. Consideriamo alberi, rami e foglie in prossimità della cascata. In un modello a canali, la loro immobilità percepita riflette l'equilibrio tra le attivazioni dei vari canali specializzati per la rilevazione del movimento nei differenti orientamenti. In particolare, lo stimolo immobile attiva in modo eguale, ma con segno opposto, i rilevatori del movimento verso l'alto e quelli del movimento verso il basso, dando luogo a un perfetto bilanciamento delle risposte. Ma che cosa accade quando, dopo aver osservato a lungo la cascata, guardiamo il bosco dopo avere osservato a lungo la cascata tenendo gli occhi fissi sulla stessa roccia, intorno alla quale scorre l'acqua impetuosa ? Alberi, rami e foglie sembrano scivolare verso l'alto, in direzione opposta a quella della cascata, in quanto l'adattamento prolungato ha prodotto l'affaticamento selettivo dei rilevatori specializzati per il movimento verso il basso; rilevatori che, per un certo tempo, non saranno in grado di bilanciare la risposta dei rilevatori specializzati per il movimento verso l'alto. Consideriamo ora un foglio bianco. Di solito esso viene visto omogeneamente bianco, poiché la proiezione di ogni suo punto cade su una zona della retina (e delle zone del cervello ad essa topograficamente corrispondenti) in cui le attivazioni delle varie classi di rilevatori, specializzati per bande diverse dello spettro luminoso, sono in equilibrio, determinando un prodotto che - per definizione - è acromatico o neutrale. Ma se lo stesso foglio bianco viene guardato dopo che gli occhi hanno fissato a lungo un disco colorato, ecco comparire, in corrispondenza della stessa zona retinica, un disco di colore opposto, per esempio verdastro se l'originale era rosso. La colorazione verdastra corrisponde al transitorio squilibrio tra la debole risposta al bianco da parte dei rilevatori specializzati per le radiazioni a lunghezza d'onda più lunga (molto affaticati dall'esposizione prolungata al disco rosso) e la maggiore risposta al bianco da parte dei rilevatori specializzati per le radiazioni a media lunghezza d'onda (meno affaticati). Per entrambi gli attributi, movimento e colore, la stimolazione prolungata produce un adattamento selettivo che si traduce in una percezione paradossale: la porzione di mondo corrispondente alla zona retinica affaticata assume su di sé una proprietà endogena percepita «in trasparenza», per così dire. Peraltro, le immagini consecutive cromatiche sono collocabili nella categoria delle finzioni, in quanto appaiono come fantasmi dotati di forma; proprietà che invece è assente nella misteriosa sensazione di movimento che anima il bosco intorno alla cascata. Ma il carattere quasi-oggettuale delle immagini consecutive cromatiche, pur importante, passa in secondo piano nel contesto di una spiegazione generale degli effetti di adattamento.

L'esistenza di fenomeni classificabili, a livello funzionale, come illusioni di origine fisica, richiede alcune precisazioni. Va anzitutto chiarito che ci si riferisce a fenomeni, tipici di una specifica modalità (visiva, acustica o altro), in cui le proprietà dello stimolo distale non sono conservate nello stimolo prossimale e in cui l'osservatore non possiede alcuna informazione sull'origine di tale discrepanza. In tali condizioni, il massimo richiedibile all'osservatore ideale è una fedele rappresentazione delle proprietà dello stimolo prossimale. Oltre al caso particolare del miraggio, cui abbiamo già accennato, si pensi - sempre in ambito visivo - alla localizzazione illusoria degli oggetti visti allo specchio. La presenza dell'originale nella stessa scena percepita che include lo specchio non annulla l'illusione di uno spazio duplicato, in cui si trova anche l'oggetto riflesso. L'esistenza di uno spazio illusorio «dentro allo specchio» dimostra quanto forte sia la dipendenza della percezione visiva dallo stimolo prossimale, indipendentemente dalle conoscenze di natura concettuale sulle proprietà dello stimolo distale e, addirittura, dalla simultanea presenza di forti evidenze fattuali.

Qualcosa di simile accade per le proprietà geometriche delle configurazioni tridimensionali di elementi, osservate da uno specifico punto di vista. Nel caso delle costellazioni celesti, per esempio, le proprietà geometriche percepite dipendono dalla forma proiettata, l'unica accessibile all'osservatore terrestre. Sulla dominanza della forma proiettata si basano numerose «illusioni di Ames» (Ittelson, 1952), interessanti proprio perché consentono di discutere i criteri in base ai quali è corretto classificare un'illusione come originata da cause fisiche (e quindi indipendente dall'osservatore) o da cause fisiologico-percettive (e quindi dipendente dall'osservatore). Prendiamo il caso dello scatolone con tre spioncini, da uno dei quali si vede apparire l'intelaiatura di una seggiola sospesa. Ma si tratta di un'illusione! Nello scatolone non c'è alcuna seggiola.

Basta guardare da uno qualsiasi degli altri spioncini per accorgersi che a essere sospesi sono soltanto dei bastoncini sconnessi e di lunghezza strana. Se illusione è ciò che si scosta dalla realtà, la seggiola vista dal primo spioncino è senza dubbio un'illusione. Ma non è banale decidere se l'illusione è dipendente o indipendente dall'osservatore. In un certo senso la causa sembra proprio l'osservatore, poiché nulla cambia nello scatolone quando l'occhio si sposta da uno spioncino all'altro. In un altro senso, sembra che l'osservatore non c'entri nulla, poiché qualunque osservatore (addirittura un osservatore artificiale come un calcolatore collegato a una macchina fotografica) dovrebbe cadere nell'illusione e bersi come seggiola quello che è soltanto un insieme di segmenti furbescamente disposti nello spazio tridimensionale. La decisione - tutta teorica - di collocare la sedia di Ames tra le illusioni ottiche in senso stretto (quelle originate da proprietà dell'interazione tra luce e materia) e non tra le illusioni visive (quelle originate da particolarità del sistema di elaborazione delle informazioni ottiche) dipende da come valutiamo un principio di unificazione quale la connessione. Perché dallo spioncino giusto si vede una seggiola ? Fondamentalmente perché da quel particolare punto di vista nell'immagine proiettata risultano connessi punti che nello spazio tridimensionale sono sconnessi (come appare evidente guardando dagli altri spioncini). Ma non basta. Si vede una seggiola (mentre non si vedono le innumerevoli altre configurazioni tridimensionali compatibili con la stessa proiezione) perché l'osservatore che scruta dallo spioncino non si sottrae al principio della connessione, enunciabile nella formula « La mente non separi ciò che il punto di vista ha unito». In via del tutto ipotetica, la mente potrebbe dubitare di ogni connessione tra punti adiacenti dell'immagine, e trattarla come accidentale contiguità tra le proiezioni di elementi sconnessi, conseguente all'adozione di un particolare punto di vista. Ma in tal modo il numero di stati distali che il sistema di rappresentazione dovrebbe generare per esaurire l'insieme di mondi tridimensionali compatibili sarebbe irrealisticamente grande. Non separare ciò che il punto di vista ha unito è un principio basilare, probabilmente incorporato in vari aspetti dei processi percettivi. A questo proposito va notato che il problema dell'unificazione, in particolare nelle mani di W. Köhler (1929), è un formidabile produttore di illusioni. Per difendersi dall'«errore dell'esperienza», cioè dall'attribuzione di proprietà fenomeniche - inclusa l'appartenenza a unità - al mosaico degli stimoli, lo psicologo è portato a considerare illusorie proprietà che l'uomo della strada considera assolutamente reali.

Un problema analogo, in campo acustico, si incontra nella classificazione dell'« effetto Doppler» come illusione fisica o percettiva. Quando incrocia un'ambulanza con le sirene in funzione, l'osservatore umano sente una variazione di altezza del suono, più acuto quando l'ambulanza è in avvicinamento, più grave quando l'ambulanza si allontana. In termini funzionali (non fenomenologici, data la sorpresa dell'osservatore nello scoprire, se l'ambulanza si ferma, che il vero suono della sirena è «in realtà» un altro ancora) potremmo dire che l'effetto Doppler è una banale illusione fisica. L'osservatore non fa altro che attribuire al suono l'altezza corrispondente alla frequenza di stimolazione; che tale frequenza sia il prodotto localmente inscindibile della vibrazione prodotta dalla sorgente e dal suo movimento relativo è un fatto fisico. Tuttavia, in analogia con quanto accade in molti fenomeni di costanza percettiva, potremmo immaginare un osservatore capace di utilizzare l'informazione sulla variazione di distanza della sorgente per non farsi fuorviare dalla variazione della frequenza prossimale. Il tal caso, concluderemmo che l'illusoria variazione di altezza del suono proveniente da una sorgente in avvicinamento/allontanamento deriva da una inadeguatezza dell'osservatore e quindi, in questo senso, è dipendente dall'osservatore.

L'importanza teorica delle illusioni dipende, in qualche misura, dalle condizioni in cui esse si manifestano. Se fossero presenti soltanto in condizioni «artificiali», cioè prodotte da umani particolarmente esperti nell'ingannare i propri simili, esse rimarrebbero interessanti - in particolare in rapporto all'arte - ma di limitato impatto sulla teoria generale della percezione. Assumono pertanto grande significato le illusioni osservate in condizioni «naturali», come la cosiddetta illusione della luna. L'ingrandimento apparente della luna (e di altri oggetti celesti) all'orizzonte, rispetto allo zenith, talora raggiunge un valore notevole, pari a un rapporto di 2:1 tra le rispettive estensioni lineari. H. Ross e C. Plug (2002) hanno rivisitato questo un mistero millenario con la sola certezza che si tratta di un'illusione dipendente dall'osservatore, a dispetto dei ricorrenti tentativi di darne una spiegazione fisica. Pur facendo parte dell'arredo naturale, la luna è uno stimolo ecologicamente poco rappresentativo, in quanto oggetto sospeso. Nelle sue posizioni estreme, presso l'orizzonte e allo zenith, la luna approssima due condizioni di un ideale esperimento di laboratorio in cui lo stesso oggetto, collocato a una medesima distanza geometrica dall'osservatore e quindi sottendente una grandezza angolare costante, si trova in uno scenario popolato da altri oggetti collocati a diverse distanze o nel vuoto. Proprio l'assenza di informazioni sulla distanza, tipica degli oggetti sospesi e lontani da riferimenti spaziali, sarebbe all'origine di questa e di altre illusioni osservabili in contesti naturali,

WALTER GERBINO